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Come reinventarsi un lavoro dopo averlo perso

di Francesca Barbieri

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12 Aprile 2010
Come reinventarsi un lavoro dopo averlo perso

Un pizzico di coraggio, grande voglia di imparare e passione a volontà. Un mix che funziona sempre. Che si tratti di tessuti o di pastafrolla. Siamo a Prato, nella desolazione dei laboratori tessili, che uno dopo l'altro si arrendono alla crisi e alla concorrenza cinese. Una piccola storia di pasticcieri apprendisti dimostra che trovare nuovi sbocchi è possibile, anche per chi, a 50 anni, ha passato tutta una vita tra filati e tessuti. Crisi sinonimo di opportunità, lo ripetono in tanti, ma applicarlo a se stessi, mettersi su un'altra strada non è impresa facile.
Da queste premesse nasce un corso che vuole dare coraggio e speranza a chi ha perso il lavoro e magari ha trascorso un'eternità nello stesso settore, ma che adesso è pronto a cambiare, superando ogni barriera materiale e psicologica. Diciassette i partecipanti (14 espulsi dal tessile), noncuranti della cabala: tutti vincitori dei voucher finanziati dalla provincia e assegnati dal centro per l'impiego. Tra i tavoli infarinati del laboratorio del Forno Guasti c'è Stefano Lenzi, 50 anni, senza un impiego dal 2008 quando il suo lanificio ha alzato bandiera bianca. «Dopo trent'anni di lavoro - racconta - ho ancora voglia di imparare: sto scoprendo un talento per i dolci del tutto inaspettato». La sua vicina di "banco" è Maura G., quarantenne operaia tessile in mobilità, che sogna di aprire una ditta di catering tutta sua. E poi Ali Hossain, classe 1978, nato in Bangladesh, "esperto" di filati ma senza un impiego da oltre un anno. La passione per la pastafrolla è lievitata anche per un patito di numeri e algoritmi: Simone Gabbiani, 36 anni, è stato a lungo programmatore free-lance. Dopo l'ennesimo progetto ultimato e relativo contratto scaduto, «avevo bisogno di cambiare radicalmente e questo corso mi sta restituendo fiducia».
Tutti confidano nello stage finale retribuito in una delle tante pasticcerie pratesi. Che a detta di Massimo Peruzzi, presidente del Consorzio locale, faticano a «trovare personale qualificato per un lavoro che non risparmia sacrifici: queste persone sono molto motivate, hanno voglia d'imparare e quindi è anche più semplice insegnare».
Il centro per l'impiego di Prato nel giro di un anno ha raddoppiato i colloqui di orientamento, da 5 a 10mila, e "acceso" 800 voucher, che hanno permesso a 200 persone di ritrovare un posto, come assistenti sanitari, gastronomi e saldatori, al termine dei corsi di formazione che hanno cambiato volto a tante storie lavorative.
Nel palazzo moderno alla periferia della città oggi c'è un seminario per i cassintegrati in deroga. Nell'aula, insieme all'orientatrice, una quindicina di persone. Uno dopo l'altro i lavoratori condensano in una manciata di minuti una vita di lavoro e sacrifici. C'è l'impiegata da oltre vent'anni in una cooperativa di trasporti, ormai a orario ridotto, «visto che gli ordini sono dimezzati». E poi Sandra P., 44 anni, addetta al controllo qualità dei tessuti di una grossa ditta in crisi. «Nella mia vita - racconta amara - c'è stata tanta stoffa, da quando avevo 17 anni. Troppa: ora che vedo la mia società affittare i capannoni ai cinesi mi rendo conto di aver buttato via un mare di sudore». Stefania C., 40 anni, arriva da un piccolo trapuntificio, con appena tre dipendenti: «Ormai siamo in troppi, perché non c'è più lavoro». La più giovane, Laura V., è l'unica rimasta in un'azienda che realizza campionari: «Prima eravamo in sette, da tre mesi anch'io sono a zero ore». E poi Marcella e Johnny, tutti e due della stessa ditta: lei fa garzatura, lui trasporti. Vorrebbero prendere altre strade: Marcella ha il diploma da parrucchiera e Johnny punta a mettersi in proprio, «per aprire una pista da cross, che qui a Prato manca». L'aula si rianima e c'è chi ha voglia di scherzare: «Se la apri ci fai lo sconto» ripetono gli operai in fondo all'aula.

Tramonta il sogno dei call center
A 850 chilometri di distanza il volto della crisi cambia completamente: dal black-out del tessile al tramonto dell'eldorado dei call center. «È come se chiudesse la Fiat a Torino». Iolanda Ponessa ha 32 anni, è nata e cresciuta a Catanzaro. E da qui, non se ne vuole andare. È una delle 2mila voci che da ottobre 2009 sono state zittite di colpo: senza stipendio e senza lavoro, dopo tre anni di telefonate ininterrotte dalle postazioni anonime di due call center del gruppo Phonemedia, ora sotto custodia giudiziaria. «Catanzaro non offre sbocchi: il call center ci è sembrato una manna dal cielo, ora ci resta solo un pugno di mosche».
Timori e speranze si intrecciano nelle stanze affollate del centro per l'impiego, nel palazzone a metà della collina dove sgomitano gli edifici fatiscenti della seconda città della Calabria, con più di 93mila abitanti. Monica L., 29 anni, a pochi esami dalla laurea in farmacia, lavorava dove ora ci sono i sigilli con un part-time a 590 euro al mese. «Anche mia sorella e mia madre sono state assunte lì, come molte altre famiglie e giovani coppie. Io sono tra i pochi che hanno ritrovato un posto, in un altro call center». Per gli altri forzati delle telefonate a distanza dopo mesi di occupazione del luogo di lavoro, a fine marzo è arrivata la ciambella di salvataggio: un anno di cassa integrazione in deroga. «Anche se non si sa ancora quando cominceranno a ricevere le indennità» spiega la direttrice del centro per l'impiego Pina Martino che, insieme alla collega Angelina Astorino di Lamezia Terme, si troverà a gestire un numero straordinario di persone da rimotivare e orientare verso nuove opportunità. Senza contare i disoccupati che secondo i dati ufficiali sono 60mila in tutta la provincia. Ma aziende che assumono ce ne sono? «Un centinaio di imprese - risponde Pina - nel 2009 si sono rivolte a noi per coprire poco più di un migliaio di posti. A pensare che nel 2004 erano appena dieci, è un piccolo successo». Ci sono i "clienti abituali" come la Sir Meccanica, una grossa società con 60 dipendenti a Catanzaro, che produce sofisticate macchine utensili per i mercati esteri. «I centri per l'impiego locali - conferma la responsabile delle risorse umane Gabriella Quattrone - offrono tante possibilità anche alle aziende che cercano tra i nostri giovani il personale qualificato utile a far crescere il proprio business». La Sir Meccanica inoltra spesso nuovi annunci: figure commerciali, diplomate e con un'ottima conoscenza delle lingue. «Nell'ultimo anno - dice Quattrone - grazie al centro per l'impiego di Catanzaro abbiamo aumentato il personale di oltre il 60% e attivato diversi stage, confluiti poi in veri contratti di lavoro».
  CONTINUA ...»

12 Aprile 2010
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